
L'ESPERTO: Giuseppe Miserotti (Presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza, associazione medici per l’Ambiente-Isde)
Sul ritorno all’atomo vi sono interessi economici talmente forti da ridurre la tutela della salute a fattore secondario. E molti studi sulle contaminazioni provocate dalle centrali vengono censurati.
La strada del nucleare è sbagliata e di retroguardia soprattutto per i pesanti effetti sanitari che provoca. Si tratta di un’attività ad altissimo rischio: se qualcosa non va per il verso giusto è la catastrofe. Ma al di là dell’incidente, il negazionismo dei sostenitori del nucleare circa la fuoriuscita di una certa quantità di radioattività dagli impianti è contraddetta dagli studi che evidenziano un aumento di gravi patologie (tumori e leucemie) tra gli abitanti nelle vicinanze degli impianti. I camini emettono correntemente trizio e C14. Dalla valutazione di molti studi condotti in diverse parti del mondo vicino alle centrali si evidenzia la presenza di queste sostanze radioattive che inevitabilmente finiscono poi nell’acqua, nel suolo e successivamente nella catena alimentare. Una volta ingerite o inalate rimangono per tempi lunghi nell’organismo esercitando il loro potere patogeno. Da uno studio apparso suEnvironmental Health si evidenziano come contaminanti esterni delle centrali anche Cesio, stronzio, iodio 131, cobalto, radio e gas nobili come kripton, argon, Xeno. Ogni medico ricorda dalle nozioni di radiologia e ancor meglio da quelle di radiobiologia che le radiazioni sono per definizione teratogene, mutagene e cancerogene. La stessa nozione di dose limite di radiazioni intesa come soglia sotto la quale non vi sarebbero rischi è assolutamente priva di scientificità, rappresentando invece una condizione di compromesso tra necessità economiche e possibile danno biologico. è proprio questo il motivo conduttore che ha sempre caratterizzato la tendenza a minimizzare gli effetti delle radiazioni. Sul nucleare vi sono interessi economici e strategici talmente importanti e forti da ridurre la salute, che pure dovrebbe essere il bene più alto, a fattore secondario. Si spiegano così anche alcune valutazioni molto “prudenti” di alcuni studi epidemiologici compiuti nei territori sede di centrali nucleari, pur in presenza di numeri, percentuali, indici di rischio relativo assolutamente significativi. In alcuni Paesi europei si è giunti al sistematico boicottaggio, quando non alla diffamazione nei confronti di medici preparati e prestigiosi che hanno avuto il torto di valutare come indiscutibilmente significativi i rapporti tra vicinanza alle centrali e rischi sanitari cancerogeni o mutageni. Ian Fairlie in un recente numero di New Scientist del 2008 pone la drammatica domanda: vivere vicino ad una centrale nucleare può aumentare il rischio di leucemia per i bambini? Nuovi studi epidemiologici mostrano un aumento dell’incidenza di leucemia per i bambini di meno di 9 anni che vivono in prossimità di centrali nucleari (con incidenza di morte per la malattia direttamente proporzionale alla distanza dalla centrale). Lo studio ha considerato dati di 136 centrali in Gran Bretagna, Canada, Francia, Stati Uniti, Germania, Giappone e Spagna (European Journal of Cancer Care, vol 16, pag. 355).Uno studio tedesco ha riscontrato un aumento dei casi di leucemia del 220% e del 160% di tumori embriogenetici in bimbi che vivevano entro 5 km dalla centrale di Krummel vicino ad Amburgo (Environmental Health Perspectives, vol. 115, p. 941). Joseph Mangano, tossicologo e Direttore del Radiation and Public Health Project e Janette Sherman, medico dell’Istituto Ambientale presso la Western Michigan University, hanno analizzato i morti per leucemia in età tra zero e 19 anni in 67 contee degli Usa vicino a centrali nucleari a partire dal 1957 fino al 1981 utilizzando i dati dei Cdc (centri di controllo delle malattie e prevenzione) valutando la variazione della mortalità ottenendo un aumento del 13,9% nei pressi delle centrali nucleari dal 1957 al 1970 (impianti più vecchi); un aumento del 9,4% nei pressi delle centrali nucleari dal 1971 al 1981 (impianti più recenti) e una diminuzione del 5,5% negli anni dal 1957 al 1981 (presso impianti chiusi). Quale significato dare a questi valori? Più i reattori sono vecchi maggiore è la contaminazione radioattiva che producono (senza calcolare il possibile maggior numero di incidenti pur se definiti minori); la diminuzione dei casi vicino ai reattori chiusi conferma il legame tra vicinanza alla centrale e aumento delle malattia. Anche lo studio tedesco presso Krummel (particolarmente significativo per la consistenza del campione) come molti altri evidenziano una maggiore incidenza della leucemia e dei tumori nelle vicinanze dagli impianti; allontanandosi il numero diminuisce proporzionalmente. Questa è la migliore risposta per quei cittadini che dicono: “Siamo contornati dalle centrali dei paesi vicini, tanto vale averle in casa!”. Come abbiamo potuto vedere non è affatto così.
(Da: TERRA - Quotidiano di informazione pulita - www.terranews.it)
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