Premessa
Qualche mese fa, l’allora ministro del Sottosviluppo Sfarzoso, Claudio Scajola (quello che diceva di volersi mettere una centrale nucleare in giardino ), nel corso di una accesa seduta del Parlamento (quale ramo non fa differenza) in cui si discuteva del Nuovo Programma Nucleare Italiano, definito da un deputato dell’opposizione “una fesseria”, terminò il proprio intervento ponendo con veemenza una domanda:
“E’ fesso Obama? E’ fesso Sarkozy? Sono fesso io?”
Si poteva rispondere all’ex ministro che Obama, con la concessione di 8,6 mld di dollari in crediti agevolati alla lobbie nucleare ha ottenuto i voti necessari per far approvare il Climate Bill, ovvero la green economy: 150 mld di dollari in dieci anni. Sarà diseducativo, ma certo non è un fesso!
E non è fesso nemmeno Sarkozy, visto che riesce a vendere quelle schifezze di Epr al’Italia, addossandole l’onere del salvataggio dell’industria nucleare francese che è praticamente alla canna del gas: pataccaro, quindi..ma non un fesso!
Rimane l’ex ministro Scajola: evitiamo di dare una risposta affrettata (anche per evitare problemi giudiziari..) che potrebbe portarci lontano (alle Novate, per esempio..) dal tema di questo post. Lasciamo la domanda in sospeso, riservandoci di rispondere più in là, ed entriamo nel merito.
Come eravamo
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, la bassa piacentina era, per struttura economico sociale, non diversa da quella delle provincie limitrofe, quindi essenzialmente agricola. Non che mancassero attività industriali e/o artigianali anche di un certo livello (meccanica, legno, laterizi, estrattiva) ma l’asse portante era l’agricoltura. Agricoltura di pregio: il pomodoro (il perino piacentino rivaleggiava con il san marzano dell’area flegrea e veniva definito ‘oro rosso’), l’aglio piacentino, la bietola da zucchero, i cereali. Ovviamente, col contorno delle industrie di trasformazione: piccole realtà che lavoravano con una qualità notevole, in molti casi con propri marchi. Ma c’erano anche i frutteti, le produzioni orticole destinate al consumo alimentare, le vigne di uve da lambrusco e fortanella. L’allevamento bovino e suino era ancora ben radicato, così come la produzione lattiero casearia e quella di trasformazione delle carni. Anche in questo caso, produzioni di qualità da parte di tante piccole aziende.
In questo panorama agreste, un disgraziato PEN (non è una parolaccia: Piano Energetico Nazionale) colloca una altrettanto disgraziata centrale elettronucleare: nel 1969 a Caorso apre il cantiere di “Arturo”, 840 Mwe, la più grande d’Europa, a quei tempi. A proposito: se qualcuno vi racconta che lui, già a quei tempi, era “contro”, al 99,99% vi sta raccontando una balla! Erano tutti favorevoli: politici di maggioranza e di opposizione, banchieri, industriali, commercianti, esercenti, artigiani.. persino i ragazzini delle scuole, opportunamente ‘corrotti’ dalla visione, in orario scolastico, di filmati che illustravano le magnifiche e produttive virtù dell’atomo civile che avrebbe portato progresso, benessere, ricchezza. Problemi di sicurezza? Nessuno. Era l’Italia positivista del miracolo economico e del boom che arrivava anche nelle sperdute aree rurali: praticamente una rivoluzione culturale!
Ovviamente, le cose all’inizio non furono rose e fiori: il territorio fu preso d’assalto dai lavoratori del cantiere. Venivano dal sud, lavoravano in nero, dormivano in baracche di lamiera. Nel cantiere non c’era il sindacato, niente mensa, niente infermeria, niente servizi igienici. Il comune di Caorso venne lasciato solo ad affrontare una situazione esplosiva. Quando venne denunciata la situazione, l’ENEL si chiamò fuori: l’appalto era stato affidato ‘chiavi in mano’ e chi s’è visto, s’e visto! Regolarizzare quella situazione fu quasi una guerra….
Per 10 anni quel cantiere fu la più grande azienda dell’intero territorio piacentino. Superò, ad un certo punto, i 3000 addetti: persone a cui fornire beni, merci, servizi. E naturalmente, anche nuove opportunità per i lavoratori del territorio e delle zone limitrofe all’impianto…le vacche grasse, insomma. Quando, nel 1981, la centrale entra in produzione, quel periodo è già finito. E’ un impianto da circa 300 dipendenti, con propri contratti di forniture e manutenzione che tagliano fuori le imprese locali. La nostalgia per i bei tempi (e i lucrosi affari) del periodo del cantiere è tale che a qualcuno vien persino in mente di proporre il sito per un secondo reattore!
La centrale chiude nel 1986, dopo soli 5 cicli produttivi, dopo la catastrofe di Chernobyl, e lascia un territorio molto diverso, in un certo senso monco: non ci sono più le eccellenze di un tempo, ma nessun nuovo modello di sviluppo è subentrato. E’ avvenuta una mutazione genetico sociale: i palazzinari prendono il posto degli agrari ai vertici del notabilato locale. La terra non rende più per quel che produce ma per destinazione d’uso e/o per gli indici di edificabilità. Non importa di che cosa. Ed ecco arrivare, nel tempo, i centri di stoccaggio di rifiuti speciali, le logistiche.
Nel frattempo, per fare un esempio, i cugini parmensi che non hanno avuto la “fortuna” di avere su proprio territorio la più grande centrale nucleare d’Europa, hanno fatto di necessità virtù e, valorizzando quel che avevano già in casa, hanno costruito un sistema agro alimentare di valore mondiale…….
Conclusione
Sia chiaro: quanto abbiamo sopra scritto non ha alcuna pretesa di esattezza “scientifica”. Sono ricordi di persone che quei tempi li hanno vissuti e che mantengono sufficiente salute mentale per ricordare. Questo ci mette, però, ora in condizione di rispondere a quella famosa domanda, lasciata in sospeso all’inizio di questo scritto:
L’ex ministro Scajola è un fesso?
No. I fessi saremmo noi a dargli retta. A lui e a tutti quelli come lui
Con buona pace di tutti.
Qualche mese fa, l’allora ministro del Sottosviluppo Sfarzoso, Claudio Scajola (quello che diceva di volersi mettere una centrale nucleare in giardino ), nel corso di una accesa seduta del Parlamento (quale ramo non fa differenza) in cui si discuteva del Nuovo Programma Nucleare Italiano, definito da un deputato dell’opposizione “una fesseria”, terminò il proprio intervento ponendo con veemenza una domanda:
“E’ fesso Obama? E’ fesso Sarkozy? Sono fesso io?”
Si poteva rispondere all’ex ministro che Obama, con la concessione di 8,6 mld di dollari in crediti agevolati alla lobbie nucleare ha ottenuto i voti necessari per far approvare il Climate Bill, ovvero la green economy: 150 mld di dollari in dieci anni. Sarà diseducativo, ma certo non è un fesso!
E non è fesso nemmeno Sarkozy, visto che riesce a vendere quelle schifezze di Epr al’Italia, addossandole l’onere del salvataggio dell’industria nucleare francese che è praticamente alla canna del gas: pataccaro, quindi..ma non un fesso!
Rimane l’ex ministro Scajola: evitiamo di dare una risposta affrettata (anche per evitare problemi giudiziari..) che potrebbe portarci lontano (alle Novate, per esempio..) dal tema di questo post. Lasciamo la domanda in sospeso, riservandoci di rispondere più in là, ed entriamo nel merito.
Come eravamo
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, la bassa piacentina era, per struttura economico sociale, non diversa da quella delle provincie limitrofe, quindi essenzialmente agricola. Non che mancassero attività industriali e/o artigianali anche di un certo livello (meccanica, legno, laterizi, estrattiva) ma l’asse portante era l’agricoltura. Agricoltura di pregio: il pomodoro (il perino piacentino rivaleggiava con il san marzano dell’area flegrea e veniva definito ‘oro rosso’), l’aglio piacentino, la bietola da zucchero, i cereali. Ovviamente, col contorno delle industrie di trasformazione: piccole realtà che lavoravano con una qualità notevole, in molti casi con propri marchi. Ma c’erano anche i frutteti, le produzioni orticole destinate al consumo alimentare, le vigne di uve da lambrusco e fortanella. L’allevamento bovino e suino era ancora ben radicato, così come la produzione lattiero casearia e quella di trasformazione delle carni. Anche in questo caso, produzioni di qualità da parte di tante piccole aziende.
In questo panorama agreste, un disgraziato PEN (non è una parolaccia: Piano Energetico Nazionale) colloca una altrettanto disgraziata centrale elettronucleare: nel 1969 a Caorso apre il cantiere di “Arturo”, 840 Mwe, la più grande d’Europa, a quei tempi. A proposito: se qualcuno vi racconta che lui, già a quei tempi, era “contro”, al 99,99% vi sta raccontando una balla! Erano tutti favorevoli: politici di maggioranza e di opposizione, banchieri, industriali, commercianti, esercenti, artigiani.. persino i ragazzini delle scuole, opportunamente ‘corrotti’ dalla visione, in orario scolastico, di filmati che illustravano le magnifiche e produttive virtù dell’atomo civile che avrebbe portato progresso, benessere, ricchezza. Problemi di sicurezza? Nessuno. Era l’Italia positivista del miracolo economico e del boom che arrivava anche nelle sperdute aree rurali: praticamente una rivoluzione culturale!
Ovviamente, le cose all’inizio non furono rose e fiori: il territorio fu preso d’assalto dai lavoratori del cantiere. Venivano dal sud, lavoravano in nero, dormivano in baracche di lamiera. Nel cantiere non c’era il sindacato, niente mensa, niente infermeria, niente servizi igienici. Il comune di Caorso venne lasciato solo ad affrontare una situazione esplosiva. Quando venne denunciata la situazione, l’ENEL si chiamò fuori: l’appalto era stato affidato ‘chiavi in mano’ e chi s’è visto, s’e visto! Regolarizzare quella situazione fu quasi una guerra….
Per 10 anni quel cantiere fu la più grande azienda dell’intero territorio piacentino. Superò, ad un certo punto, i 3000 addetti: persone a cui fornire beni, merci, servizi. E naturalmente, anche nuove opportunità per i lavoratori del territorio e delle zone limitrofe all’impianto…le vacche grasse, insomma. Quando, nel 1981, la centrale entra in produzione, quel periodo è già finito. E’ un impianto da circa 300 dipendenti, con propri contratti di forniture e manutenzione che tagliano fuori le imprese locali. La nostalgia per i bei tempi (e i lucrosi affari) del periodo del cantiere è tale che a qualcuno vien persino in mente di proporre il sito per un secondo reattore!
La centrale chiude nel 1986, dopo soli 5 cicli produttivi, dopo la catastrofe di Chernobyl, e lascia un territorio molto diverso, in un certo senso monco: non ci sono più le eccellenze di un tempo, ma nessun nuovo modello di sviluppo è subentrato. E’ avvenuta una mutazione genetico sociale: i palazzinari prendono il posto degli agrari ai vertici del notabilato locale. La terra non rende più per quel che produce ma per destinazione d’uso e/o per gli indici di edificabilità. Non importa di che cosa. Ed ecco arrivare, nel tempo, i centri di stoccaggio di rifiuti speciali, le logistiche.
Nel frattempo, per fare un esempio, i cugini parmensi che non hanno avuto la “fortuna” di avere su proprio territorio la più grande centrale nucleare d’Europa, hanno fatto di necessità virtù e, valorizzando quel che avevano già in casa, hanno costruito un sistema agro alimentare di valore mondiale…….
Conclusione
Sia chiaro: quanto abbiamo sopra scritto non ha alcuna pretesa di esattezza “scientifica”. Sono ricordi di persone che quei tempi li hanno vissuti e che mantengono sufficiente salute mentale per ricordare. Questo ci mette, però, ora in condizione di rispondere a quella famosa domanda, lasciata in sospeso all’inizio di questo scritto:
L’ex ministro Scajola è un fesso?
No. I fessi saremmo noi a dargli retta. A lui e a tutti quelli come lui
Con buona pace di tutti.
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