sabato 10 agosto 2013










Il saldo negativo del conto nucleare. 

Mi è già capitato più volte di scrivere ed affermare che, contrariamente a quanto si tende a spacciare, il territorio caorsano prima dell’insediamento della centrale elettronucleare, non era assolutamente un’area arretrata, povera o, peggio, depressa. Già negli anni ’60 sul territorio era presente un robusto tessuto di attività artigianali e di piccola industria. Ma questa era soprattutto una zona agricola di alto pregio,  con prodotti che rappresentavano una eccellenza assoluta per il territorio piacentino , come il mitico perino rosso (pomodoro che rivaleggiava in qualità con l’altrettanto mitico  pomodoro san marzano dell’area flegrea) al punto di essere definito “oro rosso”, la cui produzione aveva qui il suo cuore pulsante. Ed era zona di alto pregio per molte produzioni orticole, pregio riconosciuto anche nelle province e nelle regioni limitrofe: non erano pochi i commercianti e i ristoratori che venivano qua a comprare “sulla terra”  ciò che utilizzavano per le loro attività. E c’erano le peculiarità locali: dalla raccolta dei tartufi nei boschetti sulle rive dei corsi d’acqua ( proprio dove sorge ora “Arturo” vi era un boschetto di farnie che produceva il tartufo bianco) all’allevamento delle lumache. Inoltre, l’area conosciuta come “I tre Argini”, racchiusa tra il fiume Po ed i torrenti Nure e Chiavenna, era già allora conosciuta come una delle più pregiate tanto dal punto di vista paesaggistico che da quello ambientale. Un patrimonio che, se fosse disponibile oggi, iscriverebbe Caorso nella cerchia dei territori in grado, anche in tempi di crisi, di godere di una economia prospera basata sulla valorizzazione di quelle tipicità, di quelle peculiarità, di quelle tradizioni.

A più di quaranta anni dal suo insediamento, la centrale nucleare (ovvero, il progresso) mostra tutti i suoi effetti negativi. A parte il decennio della costruzione (in cui qualcuno riuscì di sicuro a farsi anche più di una villa, speculando sui bisogni degli oltre tremila operai che partecipavano alla costruzione dell’impianto) e gli effetti delle prime “compensazioni”(investite in aree produttive,  permisero la crescita di alcune aziende locali e qualche raro neoinsediamento), la centrale non ha mai davvero pesato sull’economia del paese e non ha certo guidato alcun tipo di sviluppo.  Al contrario, ha segnato un  passaggio del testimone tra classi egemoni: dagli agrari ai palazzinari; da quelli che la terra la coltivano a quelli che la terra la cementano!

Questo ci rende l’immagine della Caorso di oggi, quella del tesoretto(sulla cui natura ed essenza ci sarebbe da fare un lungo ragionamento..e magari, più avanti lo faremo): un paese che da decenni vive una lenta ma continua decadenza; il quale, però, si permette opere pubbliche faraoniche e dalla dubbia utilità: ci siamo persi le radici e forse l’anima, però abbiamo tre piazze nuove. Poche centinaia di migliaia di euro alla cittadinanza e non un euro investito sul territorio.

 Per essere più chiari, è come se dal 2008 ad oggi, ogni famiglia caorsana avesse rinunciato a oltre 9000 euro a favore del proprio comune nella speranza di ottenerne in cambio analogo valore in termini di servizi, di opportunità, di qualità della vita: li abbiamo ottenuti? Secondo me, no! 


Per me e per molti miei concittadini rimane un mistero il criterio con cui un pubblico amministratore può dichiarare questo bilancio in attivo. Come rimane un mistero il motivo per cui, su tutto questo, le opposizioni consiliari mantengano un imbarazzante silenzio. Viene da pensare che anche loro, che dovrebbero essere alternativi, alla fin fine non la pensino in modo tanto diverso!

Claudio Massari

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